di Ermanno Cribari e
Adele Filice
Il giornalista rispettoso dei precetti professionali sa che un buon articolo deve contenere quanto più notizie possibili, bandisce i corposi cappelli introduttivi e schernisce le divagazioni contemplative perché includono una sorta di vaga sventatezza. Ma quando ci si trova dinanzi ad un fenomeno portentoso, la voglia esplodente di chi osserva e coglie non sempre aiuta a scrivere ciò che si è visto. E allora perché non fare una preghiera (padre Giancarlo apprezzerà…) affinché qualche sensibile Celeste ci dia la facoltà di trasmettere inchiostrati stralci di suprema efficacia descrittiva, come forse solo Alessandro Manzoni sapeva fare? E forse è anche il caso, allora - poiché qualcosa di simile ai Promessi Sposi non si potrebbe più firmare, che s’inizi pure con franca sfrontatezza - rivolgendo un invito: "cari lettori, in una delle prossime soleggiate domeniche andate con i vostri figli ad innamorarvi di Platì e dintorni".
Là dove scorrono le fiumare...
C'è una Calabria antica, ferita da millenni, che mani calde e appassionate stanno curando pazientemente e tenacemente, per farla nuova con l’unguento della speranza, della responsabilità, della consapevolezza; con la baldanza di chi vuole aggiustare. Le cooperative della Valle del Bonamico, più conosciute come "quelle del Vescovo" sono il capolavoro voluto da due anime di certo “accompagnate”. Nel sud dei Sud, nella censurata Locride, come d’incanto oggi si produce, e tanto. “E’ stata una sfida quasi assurda, ma alla fine, con l’aiuto del Signore, vincente" è il commento di Padre Giancarlo, come tutti chiamano qui, e con autentica devozione filiale, Monsignor Giancarlo Maria Bregantini, presule di Locri. Un incontro per il quale non ci sono parole o aggettivi e che fa il paio - non ce ne voglia l'interessato per questa dichiarazione dettata dall'amore di verità e completamente estranea da piaggieria o esagerazione - con il rendez-vous con Piero Schirripa, presidente delle cooperative del Bonamico e tanto altro. Stormi di parole ascoltate, alla ricerca del volo, hanno riempito i nastri di un piccolo registratore portatile. Tutte, una ad una, componevano un capolavoro di sintesi: nessun orpello, niente divagazioni. E poi gli opuscoli informativi regalati, le visite guidate, i sorrisi e la gioia. E' stato così che si è consumato il sequestro, non dagli uomini “neri” di Platì, ma dalla bellezza compiuta. L’opera eccellente di carattere socio-imprenditoriale, di cui si diceva, sgorga dall’intuizione di padre Giancarlo di far nascere una sorta di gemellaggio inconsueto fra Nord e Sud, fortemente caratterizzato dal voler cooperare per finalmente fare… “Solo reciprocamente intrecciati, il Sud si sente spinto ed il Nord si sente accogliente. Così si spiega ciò che è avvenuto qui: il piccolo miracolo, che se fosse esteso al Nord ed al Sud del mondo non avremmo la guerra, non avremmo la fame e l'opulenza, perché se tu cresci anche io cresco, e non il contrario, come fa l'ipermercato: io ti cancello e vendo solo io. Questo sta avvenendo nel mondo". Il desiderio anti-secessionista, la cristallina bontà, la straripante energia del “Vescovo con la barba” incontra miracolosamente la genialità, la modernità, lo stile morale e la forza di Piero Schirripa, medico e direttore sanitario dell’ospedale di Vibo, già presidente di una cooperativa di servizi sociali con settanta dipendenti che si occupava di minori, anziani e di pazienti dimessi dagli Ospedali psichiatrici. Avviene così il prodigio: nel 1996 si costituisce la cooperativa Valle del Bonamico, il mercato in cui essa agisce è l’agro-alimentare. Si parte, naturalmente, col tentativo di sviluppare il pre-esistente. L’idea è di allevare pecore in Aspromonte, badando a razionalizzarne le caratteristiche “feudali”. Fin qui, si potrebbe dire, nulla di nuovo.
L'inizio dell'avventura
Il film fantastico, invero, inizia col viaggio in Trentino dei pionieri della Bonamico. Questi ultimi “hanno visto cooperative immense. Per fortuna, negli ultimi giorni ne hanno visitato una piccola, in una realtà periferica del Trentino, in una valle dimenticata e povera un tempo, la valle dei Mochini vicino Pergine.” Dice bene padre Giancarlo, per fortuna; alla sua indole d’uomo naif gli si può perdonare questo lapsus; avrebbe dovuto, infatti, fare riferimento alla Provvidenza, ma sappiamo che a questa si riferiva! Nella valle dei Mochini, i ragazzi di Platì - ascoltando meravigliati storie assai simili alle loro, ricordi di patimenti, di povertà e disperazione - toccano con mano una possibile alternativa. L’opulenza creata in quel posto sperduto propina loro come un sussulto di rabbia e speranza mestate congiuntamente. Si ritorna in Calabria con la voglia di fare altro, forti della constatata plausibilità. Il dogma fatale "tutto è sempre stato così e, qualunque cosa faccia, non cambierà mai nulla” non costituisce più la prepotente direttrice della storia, ma diviene ora, e qui sta il prodigio primario, il nemico da combattere. Piero Schirripa incassa a meraviglia questo benefico esito e lo traduce in moderna progettualità, dimensionando “le cose con un atteggiamento d’organizzazione, di impegni, di mercato, di tecnologia”. I Trentini, dopo analitiche visite in loco, suggeriscono di provare a coltivare i lamponi… “Voi avete il sole, in abbondanza - è il suggerimento - e allora, perché non produrre anche qui i lamponi? Però non a luglio, quando già li facciamo noi in Trentino; non serve a niente, sarebbe solo dannoso e non concorrenziale; sarebbe invece bello se voi faceste i lamponi a Natale, a dicembre. T'immagini i lamponi a Natale? Secondo noi è possibile”. E poi, the last but not least, “la coltivazione dei lamponi è molto redditizia e crea tanto lavoro”. Nel tristemente famoso triangolo Natile-Platì-San Luca, il miracolo si compie, attraverso un suggestivo percorso così regolamentato: "1) conosci la tua marginalità, 2) trasforma la tua marginalità in tipicità; 3) intreccia la tua tipicità con le altre per far nascere la reciprocità, cioè il frutto maturo della tipicità, l'antidoto alla Lega del Nord ed alla passività del Sud”.
I lamponi del Vescovo
Meravigliose serre per sostenere la maturazione dei rossi e pregiati frutti sono così sparse nella terra dei soprusi e dell’illegalità. Sono lì, sotto occhi ancora increduli. Piero Schirripa è un magnifico Cicerone che mostra il suo capolavoro con insolita naturalezza, estirpando, mentre si cammina, “troppe ( piante) d’erba maligna”. A fianco le serre della Bonamico, altre colture attrezzate. "Sono i vicini - afferma con appena una punta di orgoglio - che ci copiano…Noi non siamo contro questo fenomeno, anzi lo consideriamo foriero di nuova civiltà”; quasi un eco alle parole di Padre Giancarlo "per emulazione gli altri imparano e c’è un forte indotto nato così, porta a porta. E’ tutto bello e suggestivo..". E, come se non bastasse, il medico in jeans e cravatta saluta a gran voce un signore che si sbraccia lontano nella sua auto:”e’ un mio operaio, un ex detenuto. Mi ha invitato da lui a patto che gli porti il vino”. Lo sbalordimento è tale che c'è bisogno di guardarsi le gambe per accertarsi di essere ancora lì, di non trovarsi altrove. Si capisce, allora, tutt'ad un tratto, e chiaramente, perché come raccontava padre Giancarlo “la Provvidenza o la fortuna, secondo ciò in cui uno crede, è arrivata qui”.
Ed il vino... se non santo, certo benedetto
Ma non è tutto; è necessario narrare ancora dell’opera eccellente, quella della produzione vinicola. "La prima vendemmia - racconta Schirripa - l’abbiamo fatta nel 2003, con relativa produzione, quindi, nel 2004. Il bianco si chiama Rasule, dal nome dell'appezzamento di terra dove è coltivata l'uva; il Passito di mantonico è il Cannizzi, dal nome del graticcio su cui l'uva è posta ad appassire; il Rosso è stato battezzato Argade, dal nome delle pendici delle colline, cioè del campo in pendio e si trova ancora nelle barriques dove si sta affinando. Per i primi di dicembre sarà in bottiglia e per Natale pronto ad essere stappato. Le grappe prendono il nome dei vini, rosso e bianco, da cui principiano. Ma l'areale della produzione non è solo reggino e l'opera di questo manipolo di uomini di buona volontà va ben oltre gli effetti visibili fin qui descritti. "I paesi di provenienza dell'uva sono quelli che vanno da Palizzi fino a Crotone - continua Piero Schirripa - anche se il punto forte é la Locride dove vi è un altissimo numero di vitigni autoctoni, forse è l'area con più vitigni autoctoni di tutta Italia. Abbiamo scoperto e stiamo coltivando circa trecento viti dell'ultimo Greco di Gerace, che secondo noi è il progenitore del Greco di Bianco. Siamo agli inizi, quindi c'è molta effervescenza, molto entusiasmo, speriamo di avere individuato i filoni giusti, di essere guidati e di fare le cose per bene. Le zone di vendemmia sono Bianco, Casignana, Locri, più che Gerace. La vigna la stiamo preparando a Crini, comune di Martone, ad 800 metri di altezza, perché vogliamo trattare la vigna il meno possibile con sostanze chimiche e metterla comunque al riparo dalla peronospora. E' un posto incantevole, con il mare di fronte, i castagni alle spalle; un luogo dove pensiamo di recuperare anche posti di alloggio nelle casette dei contadini che trasmigravano dal basso all'alto (dalla marina alla collina o alla montagna) per andare a fare le conserve estive in quota. Le casette qui hanno il posto-asino in muratura".
I frutti ed il gusto... del lavoro
La deliziosa avventura si conclude in un'enoteca di Cosenza, con gli amici Beniamino Mazzitelli, sommelier, e Gabriele Ambrosio, sommelier, esperto di viticoltura e vignaiolo. Il bancone della bottega è imbandito con variegati calici, Schirripa lo completa con le bottiglie della collezione locridea. Prima della degustazione, lo sguardo è attratto immancabilmente dall’avvenenza estetica dei prodotti. I cartoni d’imballaggio sono magnificamente dipinti. Le etichette riportano il marchio, registrato, Terre d'Aspromonte, anch’esso capolavoro fra i capolavori, evocativo, assolvente, restante… I vetri sono essenziali, eleganti. Il Cannizzi abita in bottiglia bronzata, fregiata dall’artistico e suggerente intreccio delle canne a mo’ di croce. Si passa agli assaggi... Dopo abbondanti e colorati sorsi, si palpa la voglia di trasmettersi reciprocamente il giudizio tanto entusiasta su qualcosa che sembrava davvero assai improbabile. I due esperti decantano quindi il gusto ed il profumo degli etilici appena assaporati “…perché Dio non si può pregarlo e poi non vederlo realizzato anche dentro la Storia”, era stato infatti, l'incipit della chiacchierata con Padre Giancarlo... Qualcosina è da correggere, soprattutto nel Rasule, ma, promette Schirripa, ci sono ampi margini di miglioramento. Il passito è oggettivamente incantevole, buono a tal punto da incoraggiarne ampi sorsi senza avvertire il minimo bisogno di mangiucchiare qualcosa. E se è vero ciò che Nietzsche scrisse nel suo capolavoro “proprio la cosa più piccola, più sommessa, più lieve, il fruscio di una lucertola, un soffio, un guizzo, uno sbatter d’occhi - Di poco è fatta la miglior felicità”, è facile immaginare il tripudio di tanti rinfrancati cuori calabri.
Conclusioni. Indispensabili
Non suoni strano ai lettori il ribadire
reiterato della sorpresa che ci ha pervaso continuamente nell'incontro con Monsignor Bregantini,
nell'incontro con Piero
Schirripa, con le maestose serre di lamponi e i campi dei
mirtilli messi a dimora, per essere custoditi nelle serre il prossimo anno. E
sorpresa, sorpresa ed ancora sorpresa,
nell'assaporare la sapidezza ed il sentore di erbe mediterranee del Rasule, il
delicato e persistente effluvio di fiori
di zagara e frutti passiti del Cannizzi e di chissa quali altri sorprendenti
odori che racchiude l'Argade. La Calabria è anche questa, vorremmo dire
soprattutto questa. La Calabria buona, sana, fattiva che lavora "per
dare un'altra possibilità ad ognuno" come dice Piero Schirripa. La
Calabria "che solo col lavoro si libera dai problemi, dai guai" come
afferma con determinatezza sociologica
ed escatologica Padre Giancarlo. Questa frase, un po' più di tante
altre, ha continuato a girarci nella testa, pensando ai convegni, alle
iniziative sulla "legalità", ad una pedagogia che vuole instillare
come si fa con teoremi geometrici o periodi storici e movimenti letterari la
"cultura della legalità", quasi che essa potesse costituire nuova
materia d'insegnamento. E' giusto che si insegnino e si apprendano le regole
del vivere civile, ma molto spesso ci si dimentica di dare una risposta ai
bisogni che vengono dalla miseria, dal degrado culturale a cui segue quello
sociale ed economico. Il primo passo, dunque, è il lavoro a cui segue a
ruota la cooperazione. Non a caso, i cavalli di battaglia della campagna
educativa sferrata da Monsignore & C. sono stai i motti "Tu solo
puoi farcela ma non puoi farcela da solo" che è la chiave di "chi
sa l'arte aiuta l'altro". Concetti semplici ma... benedettamente
difficili da mettere in atto in una terra dove una parte di gente si è sempre
aiutata reciprocamente col silenzio, col misfatto, con la violenza e la
sopraffazione. Abitando gomito a gomito con chi dell'aiuto all'altro ha fatto
da sempre la sua missione professionale e di vita, magari sorretto più da
un'etica laica di profondo rigore morale in cui era solo stemperato il sentire
religioso. Ma tant'è... Oggi i risultati sono questi. Nell'epoca d'oro delle
'ndrine, a Platì donne e ragazzi si passarono la voce e fecero ri-sequestrare
un povero imprenditore che era riuscito, dopo mesi e mesi di prigionia, a
fuggire dai suoi sequestratori. Il passaggio in paese gli fu fatale per la
riconquista della libertà, che venne concessa molto tempo dopo. Oggi, gli ex
detenuti che hanno voglia di ritrovare una loro dignità possono farlo,
lavorando, guadagnando, dimostrando di poter essere reinserite nel circuito
sano della società. Mentre la gente per bene - e si vuole sottolineare
l'aggettivo che non è retaggio di un linguaggio borghese, ma parola per
designare una categoria morale di persone - può essere soddisfatta e pensare
che, in fondo ha ragione quando pensa che cambiare si può, se davvero si vuole.
Il messaggio pedagogico appreso in questo nostro umile esercizio di conoscenza
non si limita al Volere è potere. Questo, se pure ragguardevole,
sottostà gerarchicamente all’esperienza della gioia, quella vera.
Copiose valorose gesta in passato hanno cercato, infatti, di porsi come buon
esempio etico in questa Terra irregolare e irregolata, salvo poi fallire
miseramente. Non c’era gioia, tutto qui. La passione, quella arrossita dal
fuoco e nettata di ogni sconvenienza, sobilla e incita il fare dell’uomo, lo
istiga a continuare, lo legittima in ogni tempo e in ogni dove. Nessun fenomeno
si tramuta in successo se non lo si condisce con generose manciate di gaiezza: Mario Schirripa e padre
Giancarlo credo ci abbiano suggerito soprattutto questo. Godere, nella nostra
insuperabile lingua, non a caso ha diverse accezioni: rallegrarsi, ma anche
trarre giovamento, in un contesto disciplinato dalla Legge delle leggi, quella
della Natura, che rende trastullo la fatica, vergognosa la prepotenza,
appagante la magnanimità. E non allieta il clamore propagandistico,
l’ostentazione della miglior forma, occorre soltanto vivere naturalmente. Ciò
implica una pratica costante del lasciarsi andare, sapendo bene che c’è un
recinto oltre il quale non è dato avanzare. Gioire e amare sono il motore del
giusto, un sentire, peraltro, che accomuna indistintamente poveri e ricchi,
sani e malati, buoni e cattivi: tutti, infatti, amiamo. L’esempio etico per
eccellenza deve indicare e difendere le cose da amare, legittimare cioè
il bene e condannare il male. E’ questo il vero miracolo che abbiamo visto a
Platì e dintorni: nessuno oggi, laggiù, si vergogna di lavorare onestamente, di
salutare i non appartenenti al proprio ceto sociale o malavitoso. Le serre
edificate generano fiori e nuova vita, contro l’oltraggio e la morte.