La Dieta Mediterranea e la globalizzazione non possono andare d’accordo per il semplice motivo che la prima è memoria e tradizione, semplicità e particolare, la seconda, al contrario, è un brand standardizzato e appiattito che tutto contiene e controlla. Da una parte c’è il patrimonio della saggezza e dell’istinto dell’uomo, dall’altra un dorato nulla.
In piena crisi dell’agri-business e in coincidenza di una forte richiesta di tipicità da parte del turismo mondiale, che ancora oggi è da considerare la più grande industria, un veicolo aureo come quello della Dieta Mediterranea sul quale far viaggiare storia, benessere, bellezza e convivialità, può diventare un magnifico, quasi esemplare, attrattore turistico.
Regola e melodia sono i più significativi attributi del modello di vita più adulato in tutto il mondo, ovvero la Dieta Mediterranea, fata profumata dagli odori di quanto riesce a produrre una delle più fertili terre al mondo (l’Italia e, più i particolare il suo Mezzogiorno) suddivisa, peraltro, in microclimi unici che permettono il miracolo della nascita di frutti meravigliosi, tripudio di colori e aromi.
In considerazione della grande richiesta di salute proveniente dal consumatore tipo d’oggi, più consapevole e meno omologato e globalizzato, la Dieta Mediterranea, poi, si propone come primo e indiscusso modello alimentare “del benessere”. Pochi sanno che questa serie di comportamenti virtuosi, alimentari e non, funzionali a vivere meglio e più a lungo, fu battezzata Dieta Mediterranea in concomitanza con il più grande studio epidemiologico mai fatto nel campo della nutrizione per opera del fisiologo americano Ancel Keys una cinquantina di anni fa: il Seven Countries Study. Keys, per la prima volta, parlò di dieta. Questa parola, infatti, deriva dal greco e significa giustappunto “stile di vita”. Si potrebbe quindi, in alternativa al “made in Italy” che ha perso molto del suo appeal, iniziare a parlare, perché no, di “stile mediterraneo”.
Allora il lavoro era per lo più di tipo fisico, l’attività motoria, quindi, era imprescindibile. Si mangiavano i frutti della terra, la cui crescita veniva favorita esclusivamente da elementi naturali: il sole, l’acqua ed il letame. La carne si degustava, in genere, nei giorni di festa, quando il pasto assurgeva a meraviglioso rito. Ma, soprattutto, la famiglia era davvero una piccola società in cui tutti i componenti avevano come fine primo il piacere del vivere insieme. Tutto era lì, nella famiglia, tutta la vita.
E che dire poi dell’agita perenne solidarietà fra gli abitanti delle contrade? Si rispettavano le leggi della natura vivendo in assoluta pace, pur non avendo mai letto alcun codice. La legalità era assunta come valore innato, assolutamente ricalcante quello che auspicava il nostro famoso e compianto giudice Borsellino allorquando incontrava i giovani per le sue emozionanti lezioni di vita: “Ragazzi – diceva -, la legalità, quella vera, non deve essere avvertita come la paura della sanzione, bensì come valore basilare della propria formazione”. Questa citazione fa il paio, inoltre, con “la legge morale in me ed il cielo stellato sopra di me” di kantiana memoria.
Il borgo rappresentava il mondo intero e in esso tutto era contenuto e salvaguardato. Già, salvaguardato… La natura era rispettata e seguiti erano i suoi ritmi e le sue regole.
Si viveva guidati dall’istinto, quel magico consigliere che oggi la scienza sta rivalutando a tutto tondo. Si viveva nel colore, negli odori, nei sapori, nel rispetto e nell’amore. La tavola nella Dieta Mediterranea era e deve essere soltanto così intesa, strumento di accoglienza, raduno e, appunto, tripudio di colori e sapori. Pensate che le tinte accese e sfolgoranti della nostra frutta e della nostra verdura sono marker delle sostanze salutistiche, come dire: l’allegria e la vivacità fanno bene. Come pure, indubbiamente, procurava letizia incontrare almeno due volte al giorno, per i pasti principali, le persone che si amavano. A tavola ci si conosceva giorno dopo giorno, si cresceva insieme, si
connettevano menti ed anime come vasi comunicanti e, attraverso il confronto, si imparava a vivere e a sognare.
Oggi più che mai, nella crisi irrefrenabile della globalizzazione e dell’agribusiness, in piena emergenza obesità, si ritorna a parlare con l’antico linguaggio della natura: “Fa che il tuo cibo sia la medicina, e che la medicina sia il tuo cibo”, così Ippocrate sosteneva la semplicità del benessere già nella notte dei tempi. Sorriso, movimento e gli alimenti giusti. Ecco gli ingredienti del modello. E allora perché non sfruttare questa straordinaria occasione che la storia moderna ci consegna, intersecando i saperi di tutti noi? Diamoci le mani ed insieme costruiamo un possibile sereno futuro lavorando e attraversando discipline e competenze, passioni e sofferenze, condividendo esperienze e saperi, agendo, cioè, quello che la cultura dovrebbe essere in primis: strumento appannaggio di tutti per migliorare le condizioni di vita.
Niente di meglio, perciò, che addobbare la tavola con i prodotti della dieta mediterranea, e cominciare ad attrezzarci per ospitare al meglio chi vorrà “mangiare” la nostra bella Terra